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Vecchio 15-09-2010, 09.23.14
Vincio
 
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Predefinito I moti di Reggio, il Sessantotto del Sud

Avevo 10 anni, mi ricordo ancora i carri armati e l'odocre acre dei
pneumatici bruciati che si mescolava con quello dei lacrimogeni.


I moti di Reggio, il Sessantotto del Sud
di Marcello Veneziani


Quarant'anni fa scoppiò la sommossa popolare in Calabria contro la
decisione di trasferire il capoluogo a Catanzaro. Fu l'unica volta che
nell'Europa libera scesero in strada i carri armati, e l'ultima
insorgenza del Mezzogiorno contro Roma
Nell'estate di quarant'anni fa, 1970, a Reggio Calabria scoppiò la più
lunga rivolta urbana che la storia della nostra repubblica ricordi. Durò
sette mesi, da luglio a febbraio, costò vittime, una strage misteriosa
sul treno del Sole, e lasciò ferite insanabili. Tutto nacque, come è
noto, per il trasferimento del capoluogo di regione a Catanzaro per la
nascente amministrazione regionale.
È uscito di recente un testo fotografico e un dvd - Reggio: dalla
rivolta alla riconciliazione, pubblicato dalla Gazzetta del sud - con
immagini e filmato inediti sui moti reggini, a cura di Mimmo Calabrò. Un
testo che ci restituisce il sapore di quella battaglia e di quel clima,
al di là del racconto ufficiale che ne fecero i media, in larga parte
ostili agli insorti.
La sommossa di Reggio va ricordata per quattro ragioni. Fu la prima
rivolta contro le Regioni, esplosa nello stesso anno in cui nascevano,
di cui fu battesimo di sangue; fu l'ultima rivolta del Sud, l'ultima
insorgenza popolare e populista nel Meridione contro il potere centrale,
prima che il Meridione si consegnasse all'apatia o alla criminalità
organizzata; fu forse la prima volta che in Italia e nell'Europa libera
e democratica scesero per strada contro la popolazione i carri armati,
come nei paesi comunisti dell'est. E infine fu l'ultima rivolta di
popolo capeggiata dalla destra, una destra rivoluzionaria,
nazionalpopolare e sindacalista che agiva ai bordi dell'Msi, della
Cisnal e lambiva in modo trasversale altre forze politiche. Non solo
esponenti interni al potere e ai partiti, ma anche movimenti estremi di
destra e di sinistra, se si pensa all'attenzione positiva che Lotta
Continua e Adriano Sofri riservarono a quella rivolta. Un po' come era
accaduto mezzo secolo prima a Fiume quando la sinistra rivoluzionaria
del tempo, Gramsci incluso, seguì con favore la rivolta nazionalista e
interventista di D'Annunzio e dei suoi legionari. Dannunziano fu lo
slogan della rivolta reggina, «Boia chi molla»; ma diversi furono il
clima e la statura dei protagonisti. Reggio fu il '68 dei terroni, la
banlieu dei cafoni.
La rivolta di Reggio fu un'insurrezione di segno localista su cui si
depositò da un verso la polvere di ideologie rivoluzionarie accese dal
clima violento ed eversivo di quegli anni e dall'altro l'eco antica di
malesseri e insorgenze meridionali. Non fu una Vandea, e non ebbe i
tratti cattolici e reazionari, nobiliari e contadini della jacquerie
contro i rivoluzionari, anche perché scoppiò in una città e non in
campagna e scoccò proprio nel giorno della presa della Bastiglia, il 14
luglio. E poi i nemici, per gli insorti di Reggio, non erano i
rivoluzionari al potere, ma un ceto di moderati che rappresentavano
semmai la stagnazione e il conformismo. La rivolta reggina ebbe tuttavia
qualche somiglianza con le insorgenze popolari del Sud nel 1799 o con i
Vespri Siciliani, per andare ancor più indietro nel tempo. E Ciccio
Franco, il suo leader più popolare, evocò il fantasma napoletano di
Masaniello in salsa sindacale.
La ribellione di Reggio dimostrò come il trasferimento di poteri e
competenze a livello locale inneschi facilmente guerre locali e
conflitti per l'egemonia territoriale. Era il tempo in cui la secessione
rischiava di fiorire a sud. Seguì poi la rivolta dell'Aquila ma diverso
fu il peso, le vittime e la durata di quella sommossa, nata anch'essa
dalla crisi di rigetto delle Regioni e da un conflitto di supremazie
cittadine. A Reggio le Regioni già mostrarono i loro peccati d'origine e
le loro artificiose competenze, ma dimostrarono soprattutto che
smantellando l'Italia dei prefetti e dello Stato centrale non si andava
incontro ad una democrazia matura e federale, più vicina al territorio,
ma ad una perdita di autorevolezza e di legittimità delle istituzioni
pubbliche. La gente si allontanava anziché avvicinarsi alle istituzioni.
Con le Regioni si accelerò in Italia la crisi dello Stato democratico e
della repubblica, già avviata con la rivolta studentesca del '68 e
l'autunno caldo sindacale del '69. Quella di Reggio nel '70 apparve la
terza rivolta, quella delle periferie e della polveriera meridionale
contro uno Stato svuotato di compiti e di prestigio.
Dopo Reggio il Sud smise di insorgere a livello popolare, preferiì
defilarsi nei propri comodi, nel clientelismo e nel malgoverno, o
consegnarsi in alcune zone alla malavita organizzata. Quel «Boia chi
molla», demagogico ed eversivo, non scevro di violenza, fu l'ultimo
grido del Sud prima di sprofondare in quel coma da cui non si è più
ripreso. È curioso pensare che la repressione violenta della Rivolta
avvenne ad opera di un governo moderato, guidato da un democristiano
morbido e doroteo come Emilio Colombo. Intervistato da Calabrò a
distanza di quarant'anni, Colombo non è pentito di quella repressione,
ma è convinto di aver fatto bene a mandare i carri armati sullo
splendido lungomare reggino. Eppure non pochi furono i morti lasciati
per le strade, morti civili in prevalenza, ma anche delle forze
dell'ordine. Misterioso fu pure l'incidente stradale del 26 settembre
1970 in cui morirono 5 anarchici che si recavano a Roma a consegnare
materiale di denuncia mai ritrovato. La stampa, la stessa stampa che era
indulgente con gli scontri e le barricate dei contestatori, fu in
prevalenza ostile alla rivolta reggina.
A Reggio quell'estate di quarant'anni fa si spezzò il legame già
sofferto tra Sud e Stato, tra Meridione e Istituzioni, e si acuì il
degrado scontroso della Calabria poi aggravato dai folli insediamenti
industriali nella piana di Gioia Tauro e dai loschi errori del ceto
politico, con rare eccezioni (a Reggio, ad esempio, i sindaci Falcomatà
per la sinistra e Scopelliti per la destra). Pur nel suo velleitario
estremismo, quella rivolta fu l'ultimo atto politico di un popolo che
pensava ancora di poter cambiare la realtà con la mobilitazione, gli
slogan e le barricate. Poi restarono le clientele, i clan e la
defezione. Dopo la protesta venne l'omertà, dopo la rivolta venne il
letargo. Il Sud boia alla fine mollò.

<[url]http://www.ilgiornale.it/cultura/i_moti_reggio_sessantotto_sud/14-09-20[/url]
10/articolo-id=473250-page=0-comments=1?&LINK=MB_T>


vincio


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A vida não é brincadeira, amigo, a vida é arte do encontro
embora haja tanto desencontro pela vida (Vinicius de Moraes)
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