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Vecchio 16-12-2009, 10.22.24
krapp75
 
Messaggi: n/a
Predefinito (RECE) Israele e giordania - Parte 2

Ecco la seconda parte della Rece, metà di questa quella di Nablus
l'avevo già postata. A breve metto on line anche la terza e ultima
parte
Ciao
Andrea

Verso le 17 arriviamo alla frontiera, entriamo nell’ufficio delle
partenze e l’addetto ci chiude letteralmente in faccia la porta
mandandoci agli arrivi, il suo turno è finito. Qua un doganiere
baffuto guarda svogliatamente i passaporti, scrive qualcosa sul
terminale e poi timbra dei foglietti a parte. Arrivato il mio turno
gli dico che per me può tranquillamente timbrare il passaporto tanto
sul mio c’è già quello di Israele. Lui mi guarda storto e mi dice che
in quel posto di frontiera non mettono timbri. (Il motivo è che i
Giordani non accettano di buon grado quella dogana perché per loro il
confine reale è molti chilometri più in là e, considerando tutto quel
territorio occupato dagli israeliani ancora parte del loro stato, si
rifiutano di mettere un timbro di uscita dal paese visto che in realtà
si rimane nei confini nazionali, farlo sarebbe come ammettere che quei
territori sono ormai definitivamente persi.)
Ci fanno montare su un bus e ci dicono di attendere. Dopo quasi un’ora
siamo ancora fermi ed è divertente domandare all’autista l’ora della
partenza perché risponde sempre ‘Tra un minuto’. Finalmente arriva il
minuto giusto e ci muoviamo, non prima però di avere sborsato quasi 5
euro a testa per i tre chilometri fino al controllo israeliano, e per
fortuna c’erano rimasti i dinari necessari. Per due volte, una ogni
chilometro, ci fermiamo, devono controllare se abbiamo pagato la tassa
di uscita (altri 5 euro).
Alla frontiera israeliana ci mettiamo in fila, ci sono pochi turisti e
molti palestinesi, la coda scorre lenta, un’israeliana si fa
riconoscere come tale e viene accompagnata in un altro ingresso,
essendo residente ha la precedenza. Accanto a noi c’è una ragazza
italiana di Bologna. Lavora per le nazioni unite ed è a Gerusalemme da
quasi tre anni, è insieme al suo fidanzato, un aitante spagnolo che fa
il giornalista. Parliamo un po’, le chiedo se i controlli sono lunghi
e lei mi dice che dipende molto dalla faccia e da quanti visti strani
ci sono sul passaporto, e mi rassegno all’inevitabile. Aggiunge che
hanno vita dura pure le ragazze che viaggiano da sole, gli israeliani
infatti temono che queste possano cedere (o peggio che lo abbiano già
fatto) al fascino beduino di certi palestinesi e diventare quindi un
pericolo, sia come semplice vettore di informazioni parziali, che come
mezzo attraverso cui i terroristi possono penetrare e colpire più
facilmente Israele. E visto che fanno controlli così serrati non
devono essere poche le donne che si perdono nel fascino degli uomini
mediorientali.
Arriva il mio turno. Consegno lo zaino per il controllo ai raggi X e
poi vado al primo posto di ispezione, un paio di domande, uno sguardo
alla mia faccia, ai visti sul mio passaporto e come previsto mi viene
detto di accomodarmi e aspettare che devono controllarmi meglio.
Riccardo fa finta di non conoscermi e passa senza problemi. Mentre
attendo seduto su una sedia vedo sfilare diversi palestinesi che
onestamente non mi paiono meno sospetti di me ma mi limito a pensarlo.
Poi mi chiamano, aprono il mio zainetto e strofinano una bacchetta con
in punta un piccolo telo bianco su ogni oggetto, mettono quindi il
telo bianco sotto una macchinetta e aspettano il test. E’ negativo,
significa che non ci sono tracce di esplosivo. Mi restituiscono il
documento e ho il via libera.
Arrivo al controllo passaporti. Riccardo è sotto interrogatorio, ma
pare se la stia cavando bene. Io sono in un altra fila e c’è solo una
persona di fronte a me che passa appena arrivo. Consegno il documento
alla ragazza nel gabbiotto oltre il vetro, lei mi guarda e mi chiede
il nome, poi qualche domanda svogliata sul perché sono in Israele,
dove starò e per quanto tempo rimarrò. Quindi sfoglia il passaporto e
probabilmente vede troppi visti per essere stato emesso poco più di un
anno prima. Quelli che meno le piacciono paiono essere del Nepal e
della Mongolia, mi dice di aspettare e se ne va con il mio documento
in un stanzina, credo a parlare con un suo superiore. Poi ritorna e
rifà un’altra serie di domande, controlla con attenzione la pagina con
il visto Mongolo, prende il telefono e chiama qualcuno, alcune parole
incomprensibili, quindi mi comunica quasi dispiaciuta che devono fare
ulteriori controlli e che mi devo accomodare sulle sedie che vedo di
lato.
Mi siedo e sono l’unico in questa sala di attesa, gli altri scorrono,
Riccardo è già oltre da un bel po’. Arriva un uomo dalla ragazza,
insieme se ne vanno con il mio passaporto ed entrano di nuovo nella
stanzetta. Io attendo, sicuro che quella stanzina mi accoglierà tra
breve, e invece la ragazza esce facendomi cenno di andare verso il suo
gabbiotto, si scusa per l’attesa, apre il passaporto, mi chiede se può
timbrare e poi mi fa passare oltre con il mio nuovo timbro ‘Allenby
bridge’. Subito dopo però un’altra ragazza mi blocca, devo mostrare
nuovamente il documento e si ricomincia con la solita serie di
domande, poi d’improvviso si ferma, come se avesse avuto
un’illuminazione, mi chiede se viaggio con qualcuno, e io, indicando
Riccardo che mi aspetta a circa venti metri da dove mi trovo
passeggiando di fronte ai nostri zaini, prontamente rispondo ‘Sì, con
quel tipo laggiù!’, e allora la ragazza con un sorriso ‘Ah! Ok! Have
fun!’.
Montiamo su di un minibus che in circa quaranta minuti ci porta in
città, dopo pochi chilometri ci fermiamo al posto di blocco di
ingresso a Gerusalemme, il passaggio è semplice, rapido sguardo a noi
e ai bagagli, occhiata ai documenti e andiamo.
Abbiamo un ostello in una bella posizione vicino la chiesa del Santo
Sepolcro, lasciamo gli zaini e andiamo a cena. La fame si fa sentire.
La città vecchia è deserta e ci dirigiamo in centro, nella parte
ovest, quella israeliana. C’è tantissima gente a giro, è pieno di
locali e ristoranti, noi ne scegliamo uno di livello medio alto e non
ci possiamo lamentare, pure il vino locale non ci delude.
Per sms fissiamo per il giorno seguente con Irina, una ragazza
israeliana di Couchsurfing, ci vedremo con lei alle 11 all’ostello.
Sveglia presto e alle 7 siamo già a giro, ci dirigiamo alla chiesa del
Santo Sepolcro, tra viuzze ci perdiamo un po’ e finiamo in via
Dolorosa dove mi scopro a scuotere la testa osservando una comitiva di
Filippini che ripercorrono la Via Crucis, tutti cantano e pregano con
gli occhi al cielo e un paio di loro si portano faticosamente sulle
spalle un’enorme croce di legno. Riccardo ironicamente si chiede se
quella croce se la siano portata da casa oppure c’è un ‘noleggio
croci’ da qualche parte e questa domanda mi frulla per un po’ in
testa. Poi troviamo il Santo Sepolcro, la chiesa onestamente non è
nulla di particolare ma è davvero interessante osservare le persone
che si vedono qua dentro. Ci sono persone di ogni etnia e colore,
soprattutto però, visto che siamo nel centro religioso più importante
dei Cristiani Ortodossi, fanno bella mostra di sé molte ragazze russe
con vestiti e veli colorati, a fasciare e coprire i capelli, ma
concedendo libertà totale a sguardi intensi d’occhi color cielo e
lasciando poco immaginare gambe lunghissime. Visto che questo è posto
da pensieri casti, prima di venir fulminati dall’alto e non solo da
questi sguardi, decidiamo di uscire per dare un’occhiata al muro del
pianto.
L’ingresso al muro è come previsto ben controllato, passano la nostra
roba ai raggi X e noi al metal detector. Entriamo in una specie di
piazza con in fondo un muro fatto di grosse pietre bianche e con
decine di persone vestite in maniera buffa che si inchinano e pregano
vicine verso di esso. Le persone vestite strane sono gli ebrei
ortodossi ed è sorprendente vedere il modo in cui, mentre pregano, si
inchinano ripetutamente e velocissimi in direzione della parete. Ci
sono due accessi separati che portano a due sezioni adiacenti del
muro, una grande per gli uomini, una molto più piccola per le donne.
Alcuni uomini hanno un mitra, quasi tutti hanno sulla fronte una sorta
di scatolina nera legata con un filo dietro alla testa, mi chiedo cosa
sia, Riccardo ipotizza sia una specie di protezione di gomma per le
volte che questi, inchinandosi troppo vicino al muro, ci battono il
capo contro, e visto che entrambi crediamo che potrebbe pure essere,
sentendo di poter essere fulminati pure in questo secondo luogo sacro
di Gerusalemme, anche se stavolta per un motivo differente e da un
diverso Dio (anche se magari è lo stesso), decidiamo che è meglio
andare a mangiare qualcosa. Io vado per un divino (culinariamente
parlando) felafel dentro una pita, Riccardo opta per un paio di pezzi
dolci onestamente molto più terreni.
Incontriamo Irina al nostro Ostello, è di origine russa, ha vissuto
fino all’adolescenza in Siberia e si è trasferita a Gerusalemme nel
1992, subito dopo il crollo dell’URSS. Ci dice che suo nonno era ebreo
ma lei in realtà prima di venire qua era cattolica, a Gerusalemme però
non può far altro che essere ebrea e comportarsi da ebrea, altrimenti
avrebbe tutte le porte chiuse e vivere in Israele sarebbe molto più
difficile. Le chiedo del ‘noleggio croci’ che ancora mi frulla per la
testa e lei dice che le agenzie turistiche offrono pacchetti ‘calvario
completo’, comprensivo di croce della dimensione prescelta, rosari e
testi delle preghiere. Quindi le domando cosa sia il quadratino nero
che si legano in fronte gli ebrei ortodossi mentre pregano, ‘E’ una
scatolina che contiene le preghiere!’ e scoppio a ridere pensando alla
scampata fulminazione per averlo immaginato un paraurti. Vorrebbe
portarci al Santo Sepolcro e al Muro, ma ci siamo già stati e
preferiremmo andare alla grande Moschea, ma si rifiuta, se vogliamo ci
andiamo da soli, per lei è pericoloso entrarci. ‘Pericoloso per cosa?’
le chiedo, mi risponde che anche la città vecchia è rischiosa, pochi
ebrei hanno il coraggio di entrarci e chi lo fa spesso è seguito da
guardie del corpo. Mi prega anche di non parlare di queste cose dentro
la città vecchia, la gente ascolta ed è imprudente. Questa sua
paranoia non mi piace molto ma siamo suoi ospiti e faccio come dice.
Percorriamo un paio di strade nella parte est della città ma si vede
che non è a suo agio e così in breve ci troviamo nella zona ovest, la
parte israeliana. Ci racconta che i palestinesi che abitano nella
parte orientale di Gerusalemme hanno una sorta di carta di identità
che consente loro solo di abitare lì legalmente, non possono però
andare nella città vecchia né tantomeno ad ovest, se lo fanno
rischiano di passare una giornata in prigione, ci fa comunque capire
che nessuno rispetta questa regola e anche la polizia spesso lascia
correre queste infrazioni. Aggiunge anche che in fondo i palestinesi
che abitano Gerusalemme est sono i più fortunati (escludendo quelli
con passaporto straniero), la maggioranza di quelli che vivono in
Cisgiordania e ancora di più a Gaza non hanno infatti documenti
riconosciuti e non possono praticamente spostarsi, anche se vogliono
andare nella città santa riescono a farlo solo con permessi speciali.
Mangiamo un ottimo ed economico hummus e passeggiamo per la zona
residenziale. Poi Irina ci saluta, ci vedremo la sera successiva per
cena.
Visto che è venerdì e si sta avvicinando il tramonto ci dirigiamo
nuovamente verso il Muro del Pianto, vogliamo vedere gli ebrei in
preghiera per l’inizio dello Shabbat. Stavolta le scene che si vedono
sono ancora più singolari con centinaia di buffi soggetti vestiti con
strani frac e cappelli a bombetta di stoffa nera o a ruota di
pelliccia, quasi tutti con una barba a punta molto curata e molti di
loro abbelliti da una treccina laterale sopra l’orecchio ad adornare
una testa quasi rasata, che corrono per le strette vie della città
vecchia per arrivare in tempo al Muro. In tempo per che cosa non lo so
visto che correvano alle 17 poco prima della calata del sole e
continuavano a correre verso il luogo più sacro pure alle 19 a notte
inoltrata (Riccardo ha ipotizzato che avessero dei turni di preghiera,
ma questa cosa mi sono scordato di chiederla a Irina il giorno
seguente e sono rimasto con il dubbio, credo comunque che volessero
solo arrivare il prima possibile, compatibilmente con i loro
impegni).
Passiamo i controlli e entriamo nella stessa piazza della mattina, ma
adesso ci sono centinaia di persone nei pressi del muro, da una parte
gli uomini, ad occupare oltre l’ottanta per cento dello spazio,
dall’altra, come la mattina, rilegate in un angolino nascosto, le
donne. Questa a dire il vero è una cosa che non mi piace, le religioni
che dividono uomini da donne mi infastidiscono per principio (pure le
altre a dire il vero non mi convincono del tutto), e vedere le donne
ghettizzate in quella zona chiusa a pregare per conto loro non mi fa
una bella impressione. Ci mettiamo in testa il copricapo e entriamo
nella zona della preghiera, senza fotografare oggi che è proibito.
Attorno a noi tutti pregano e soprattutto si inchinano con movimenti
oscillatori velocissimi, incuriosito mi diverto a contare le
oscillazioni di un giovane barbuto con treccina e frac che riesce a
tenere una media di 90 inchini al minuto, ma ce ne sono altri che
vanno pure più veloce e non mi spiego come non possa non girar loro la
testa a muoverla su e giù così rapida. Poi arrivano alcuni soldati,
posano le armi e si mettono nel mezzo a fare il girotondo e a cantare
alleluia, altri in frac si uniscono a loro con il girotondo che
cresce, diventa a due file, poi tre, cento persone girano intorno
abbracciate saltando, ridendo e cantando, sembra che si divertano
davvero. Intanto le donne chiuse nell’angolino sono impegnate in
attività simili, ma molte di loro sono in piedi sulle sedie aggrappate
alla staccionata divisoria a guardare gli uomini, si vedono solo le
facce oltre il legno, e danno un effetto brutto, come una serie
macabra di teste mozzate appoggiate su una staccionata, chissà cosa
pensano e pagherei per sapere i loro veri pensieri.
Pensiamo di aver passato anche troppo tempo circondati da uomini
danzanti attorno a noi e andiamo a cena. Stavolta abbiamo appuntamento
con Inna, anche lei di Couchsurfing. Mi manda un sms dicendomi che
possiamo vederci da qualunque parte purché non in centro né nella
parte est, sembra proprio che da buona ebrea non voglia correre rischi
e non ci rimane che fissare nel centro turistico israeliano.
C’è gente a giro, ma assai meno che ieri. Inna ci attende sulla via
principale e ci viene incontro sorridendo. Pure lei è di origine
russa, è nata a Kazan e a me sta simpatica, a Riccardo invece non
troppo anche perché alla fine parliamo quasi esclusivamente di viaggi
sui monti del Nepal e della Patagonia e poco di Israele. Alla fine io
comunque credo che la sua antipatia di lui per lei trovasse inconscia
origine nel fatto che la ragazza avesse pubblicamente rinnegato le sue
origini russe, ci ha infatti detto chiaramente che con la Russia non
vuole più avere a che fare e che ha rinunciato ad avere anche il
doppio passaporto. E per un amante della Russia come Riccardo questa è
una posizione insostenibile!

La mattina seguente ci svegliamo presto per andare a Nablus. Pare ci
sia poco da vedere oltre al suk, ma vogliamo visitare questa città
palestinese famosa per la sua resistenza ad Israele. A dire il vero
c’è anche un altro motivo che ci spinge fino là, più prosaico questo
ma non meno importante per noi, cioè i kunafeh, i dolcetti al
formaggio fresco di capra, sembra infatti che i migliori del mondo li
facciano proprio a Nablus e non possiamo non assaggiare tale
prelibatezza decantata pure dagli israeliani.
Non c'è servizio diretto da Gerusalemme, prendiamo quindi un minibus
per Ramallah alla porta di Damasco, poi dovremo cambiare.
Il passaggio al posto di controllo sotto l'osceno muro è rapidissimo,
uno sguardo all'autista e neppure ci fermiamo. Di là invece, in
direzione Gerusalemme c'è una coda enorme. Giungiamo alla piccola e
sudicia autostazione e il conducente saputo la nostra destinazione ci
indica il giusto bus, scassettato e fermo sulla pensilina. Montiamo
ma sopra non c'è ancora nessuno e dobbiamo aspettare che si riempia
per partire.
Il bus ha tre posti per fila, uno a destra e due a sinistra, io mi
siedo al finestrino dietro l’autista, Riccardo va nel posto singolo al
finestrino dall’altra parte. Salgono persone, accanto a me prende
posto un ragazzo ben vestito e molto educato, parla pochissimo
inglese ma si sforza per conversare con me, è cordiale, mi dice di
insegnare all'università di Nablus lingua araba, mi chiede come mai
siamo in Cisgiordania. Proviamo a parlare ma è davvero troppo
difficile e dopo un po' desisto dispiaciuto perché sarebbe stato molto
interessante dialogare con lui.
Il paesaggio si alterna tra verde e desertico attraversando dolci
colline, poi un cartello che farebbe la felicità del nostro amico
Carletto ci segnala l'arrivo a Nablus.
Il professore di arabo ci dice di scendere con lui e ci accompagna al
suk, ma deve scappare presto, ha lezione ed è in forte ritardo. E'
sabato mattina e sembra che il mercato sia al culmine, tanta gente
che corre, sporcizia ovunque, le persone ci guardano strane,
soprattutto i bambini, non è posto da turisti questo, non c'è nulla
da vedere e non capiscono cosa ci facciano due stranieri con le
macchine fotografiche al collo a giro per queste viuzze affollate.
Teste di pecora e di vitello fanno bella mostra sui banchi di
macelleria insieme a interiora e pezzi di carne punteggiati da mosche,
l’odore è penetrante, misto di spezie e sangue. Sui muri decine di
manifesti scoloriti inneggianti ai kamikaze, la foto del martire e il
mitra ad esaltare il gesto, la trasformazione in eroi, quasi la
beatificazione di questi pazzi assassini mi disturba e sconcerta, e
per principio non scatto fotografie che includano queste icone folli,
farlo sarebbe quasi come accettare in qualche modo i loro gesti che
non hanno alcun tipo di giustificazione.
Camminiamo persi nel suk finché affamati troviamo un localino dove
assaggiamo i migliori felafel di tutto il viaggio. Riccardo vista
l'inattesa qualità delle polpettine di ceci vorrebbe provare anche
l'hummus ma io non ho fame e desiste, da solo non ce la farebbe a
finire l'enorme porzione che vediamo mettere nei piatti, lo vedo però
uscire dal locale non troppo convinto della sua rinuncia. Andiamo alla
ricerca del kunafeh e li troviamo in una bancarella, l’aspetto è
invitante e il sapore sublime, dolce al punto giusto con il formaggio
delicatissimo che si scioglie in bocca.
Non c’è altro da fare e decidiamo di comprare un paio di kefiah prima
di tornare verso Ramallah. Pare impossibile ma a Nablus trovare delle
kefiah è impresa ardua, in tutto il suk pochi le vendono e tutte sono
care e di qualità molto bassa. Chiediamo in giro e ci indirizzano
verso un negozio decentrato, una sorta di merceria che vende
biancheria, camice, pigliami e tante belle kefiah. Il venditore è un
buffo palestinese che mette subito in chiaro che da lui non si tratta,
se ci va bene il prezzo compriamo, altrimenti andiamo altrove. Ci
chiede se vogliamo quelle normali palestinesi, quelle dei comunisti,
quelle di Hamas o quelle associata a un’altra sfilza di partiti il cui
nome ovviamente si perde prima di entrarmi in testa. Visto che non
abbiamo intenti politici ma solo estetici diciamo che vogliamo vedere
quelle bianche a quadretti neri e quelle bianche a quadretti rossi, e
lui: ‘Ah, bianche e rosse, siete comunisti allora!’.
Ce ne fa vedere di tutti i prezzi, entrambi ne prendiamo una classica
bianca e nera stile Arafat e una da comunisti, e lui pare molto
contento di questa nostra seconda scelta.
Cerchiamo il bus per Ramallah, i palestinesi sono molto gentili e
prodighi di informazioni ed è facile trovarlo. In circa un’ora e mezzo
arriviamo e visto che è presto decidiamo di fare due passi per il
centro. La città è molto caotica e sporca, incredibilmente affollata,
faccio un po' di foto a giro, e pure qua sembra che di turisti ne
passino pochi perché molti ci chiedono da dove veniamo e cosa facciamo
lì. Per fortuna non vedo manifesti a glorificare i kamikaze, molti
invece sono quelli che ritraggono una più simbolicamente innocua
effige di Arafat.
Verso le quattro decidiamo di tornare a Gerusalemme. C'è troppa gente
alla fermata del bus e pur sgomitando non riusciamo a salire sul
primo. L’ultima a trovare posto è una biondina minuta, evidentemente
straniera, e mi chiedo cosa ci faccia lì da sola mentre le porte si
chiudono dietro i suoi capelli a caschetto. Dopo circa venti minuti
arriva un altro bus e stavolta saliamo. Accanto a noi un ragazzo
palestinese che ha studiato in Spagna e da poco è tornato a casa a
Ramallah, sta andando a Gerusalemme a trovare la sua ragazza.
C'è coda, scendiamo dal bus e andiamo alla frontiera a piedi
camminando per circa dieci minuti a fianco del muro tirato su dagli
israeliani. Questo divisorio di cemento sovrastato da torrette di
guardia, che infastidisce già per il solo fatto di ricordarne un altro
fortunatamente crollato, è contestato molto perché prende più spazio
di quanto siglato dagli accordi del 1967 che definivano una sorta di
confine dei territori palestinesi, la Linea Verde, e talvolta questa
fredda barriera grigia si insinua per chilometri in Cisgiordania
spezzando villaggi e città. Una ragazza israeliana ci ha detto che il
muro ha tagliato di netto la cittadina palestinese dove abita un suo
amico arabo e ora lui per andare a trovare i genitori deve
attraversare un posto di blocco posto assai distante, prima in cinque
minuti a piedi andava a trovare la madre, adesso ci mette delle ore
facendo un giro lunghissimo e controlli estenuanti. Lei comunque è
certa che questa storia non durerà molti anni perché le abitazioni che
si trovano di qua dal muro, verso Israele sono destinate
inevitabilmente a essere sgomberate o abbattute, e i suoi occhi si
intristiscono mentre lo dice.
Ci immettiamo in un corridoio che conduce in una stanza ampia
illuminata da forti luci al neon, qua ci troviamo di fronte a una
cancellata fatta di aste metalliche verticali e a una porta girevole
con le sbarre di acciaio poste in orizzontale. In alto c'è una luce
verde accesa e di fianco una luce rossa spenta. Il passaggio è stretto
e gli spicchi di porta ampi circa sessanta gradi consentono l’accesso
ad una sola persona alla volta. Poso le mani sul freddo metallo,
spingo e con uno sgradevole cigolio la porta gira ruotando sul suo
asse e facendomi passare.
Entriamo in un largo locale rettangolare, pareti di cemento lo
delimitano ai lati, davanti e dietro sbarre d'acciaio dal pavimento
fino al soffitto. Gli spazi vuoti fanno riecheggiare forte i suoni,
sento colpi metallici, grida acute, gente che mormora, poi di tanto in
tanto il suono di un forte beep, come una sirena smorzata, un carcere
di massima sicurezza l’ho sempre immaginato in questo modo. La
cancellata frontale è ampia circa venti metri e ci sono cinque uscite,
tutte con le porte girevoli e separate da pannelli divisori lunghi
circa otto metri anch’essi fatti di sbarre di metallo. E’ tutto
acciaio e cemento.
Non vedo guardie o doganieri, solo circa trecento palestinesi a
premere contro due delle cinque uscite. Gli israeliani devono essere
più in là, nascosti da qualche parte, ne sento però le grida secche
attraverso gli altoparlanti, come a dare ordini. Le due uscite dove la
gente è ammassata, la numero Quattro e la numero Cinque, hanno accesa
la luce rossa, ogni tanto questa si spenge e con un forte beep si
accende simultaneamente la luce verde a fianco, segue il rumore
metallico di sblocco, il cigolio dovuto alla rotazione e qualcuno
passa oltre, le uscite Uno, Due e Tre hanno tutte le luci spente.
Ci mettiamo in coda alla numero Quattro, la fila bene o male scorre.
Scorgo in mezzo la biondina che aveva preso il bus prima di noi,
piccola, è pressata tra i corpi, avvolta da donne con il velo, uomini
con kefiah e da molti altri vestiti all’occidentale. Il ragazzo
spagnolo-palestinese è di fianco a noi e ci dice che dovremo avere
pazienza perché passeranno delle ore. Mi stupisco perché la fila
fluisce abbastanza veloce, in trenta minuti siamo già quasi a metà.
Poi un annuncio che non capisco, vedo la luce rossa sopra la porta
numero Quattro spengersi senza il beep e senza che la verde si accenda
e tutti che corrono lasciando quella fila catapultandosi sgomitando in
una delle tre che erano rimaste chiuse, la numero Due, adesso è quella
ad avere la luce rossa accesa. La biondina era quasi all’uscita, fissa
la luce spenta incredula e seguendo gli altri si mette ultima in coda.
Anche noi siamo in fondo adesso, ma per poco perché pure la numero
Cinque viene chiusa e tutti quelli che erano là si mettono dietro di
noi.
Ancora beep e cigolii fastidiosi, ma li attendiamo con gioia perché
indicano che si scorre, in pochi minuti passano rapide una decina di
persone, poi si spengono le luci anche sulla porta Due, adesso tutti i
passaggi hanno la luce spenta. Trascorrono alcuni secondi in cui non
capisco cosa succede, poi un annuncio e si accendono le luci rosse
sopra le uscite Uno e Tre, quelle che finora non erano state
utilizzate, e di nuovo a correre e sgomitare per arrivare primi.
Comincia ad essere abbastanza evidente che di là si stano divertendo,
si spostano e aprono le porte in maniera alternata ed è impossibile
sapere quale si aprirà e per quanto tempo rimarrà aperta. Stavolta non
ci mettiamo in coda con gi altri, ci sembra inutile visto che le
aperture sono brevi, ma aspettiamo alla numero Due, magari la
riaprono. Mi aggrappo alla porta mentre comincio ad innervosirmi, mi
viene quasi la voglia di prendere il passaporto e metterlo sotto la
telecamera che mi fissa, per far vedere che non ci sono solo
palestinesi là dentro e che dovrebbero smetterla di giocare con le
persone abusando del loro potere.
Alcuni istanti di silenzio e poi di nuovo il beep, la luce verde, il
suono secco di sblocco e il cigolio della porta che gira ci segnalano
che nelle uscite Uno e Tre si scorre. Noi guardiamo in attesa
dell’inevitabile, e infatti dopo pochi minuti le luci di tutte le
uscite sono di nuovo spente, segue un annuncio che ovviamente non
capiamo ma non deve essere bello visto che la gente attorno a noi
rumoreggia e fa gesti di stizza, chiediamo al ragazzo spagnolo-
palestinese che ci dice che hanno chiuso il posto di controllo. Come
chiuso? Perché? Per quanto rimarrà chiuso? Lui non ne ha idea
potrebbero essere cinque minuti, un ora, un giorno. Tutti aspettano,
noi siamo fermi in mezzo alla sala adesso e non sappiamo davvero cosa
fare. Un ragazzo inizia a battere qualcosa di metallico contro le
sbarre di acciaio, ma immediatamente grida incazzate e acute di donna
attraverso l’altoparlante lo fanno smettere. Passano dieci minuti e si
riaccende la luce rossa dell’uscita numero Tre e tutti di nuovo a
correre per arrivare primi, stavolta ci uniamo al gruppo in cerca di
fuga. Scorgo la biondina, è ferma ad una porta girevole, la numero
Due, quella dove ero io prima, aggrappata alle sbarre in prima
posizione non si muove da lì adesso, non ha certo voglia di correre e
trovarsi di nuovo in fondo alla coda, spera che prima poi la sua porta
si apra e la lasci passare, è come paralizzata.
Scorriamo lenti per una ventina di minuti dal passaggio numero Tre.
Un ragazzo palestinese si aggrappa alla cancellata e grida qualcosa,
ma subito uno strillo di donna, metallico e fortissimo, rimbomba nelle
orecchie dagli altoparlanti, lui protesta, ma un nuovo urlo ancora più
forte lo fa desistere anche perché gli altri in coda gli dicono
qualcosa minacciosi, probabilmente temono che il suo gesto possa avere
effetti negativi su tutti. Forse hanno ragione perché dopo un attimo
la luce rossa si spenge e di nuovo l'annuncio, il posto di controllo
è chiuso. La gente ora rumoreggia e anche io e Riccardo non ne
possiamo più, un palestinese mi guarda e mi grida 'You see Jewish! You
see Jewish!'. In effetti non so più cosa pensare, o fuori è successo
qualcosa di grave oppure i militari israeliani si divertono con noi,
aprendo e chiudendo le porte senza regola e facendo così saltare ogni
coda in modo da esasperare i palestinesi, tenendoli sempre in allerta
e provocando una sorta di competizione tra questa povera gente che
vuole semplicemente passare un posto di controllo (tra l’altro a loro
imposto), magari solo per andare a lavoro o per incontrare la
fidanzata. In questo gioco se sei fortunato puoi passare dopo dieci
minuti, se hai sfortuna e scegli sempre la fila sbagliata puoi
passarci una giornata qua dentro. Magari sei il primo della coda e
dopo un minuto ti ritrovi ultimo dietro a duecento persone sempre più
arrabbiate e a quel punto è naturale che chi può si faccia forte e
cerchi di passare avanti agli altri.
Dopo mezz’ora di attesa con le porte serrate iniziamo a preoccuparci,
potrebbe essere successo qualcosa di grave a Gerusalemme, in quel
caso il check point potrebbe rimanere chiuso anche giorni. C’è un
nuovo annuncio incomprensibile, molti a questo punto iniziano ad
andare via dal dietro, per tornare a Ramallah. Rimangono non più di 50
persone, tra cui noi che non sapendo davvero cosa fare ci affidiamo al
ragazzo spagnolo-palestinese che si è allontanato un po’ ma ci fa
cenno di non uscire e la biondina sempre aggrappata alla sua porta,
adesso ha le lacrime agli occhi, la guardo e le sorrido cercando di
farle coraggio con lei che si limita a scuotere la testa fissando nel
vuoto. D'improvviso un suono metallico, la luce rossa della porta
numero Tre si è riaccesa, tutti corriamo per essere più avanti
possibile. I Palestinesi usciti verso Ramallah provano a rientrare ma
non possono, gli israeliani hanno chiuso le porte esterne adesso,
dentro si scorre ma loro sono fuori e non possono fare altro che
******** contro le sbarre e guardarci fluire verso Gerusalemme. Adesso
non ci sono molte persone davanti a me e Riccardo, lo spagnolo-
palestinese è vicino a noi e ci dice che quasi ogni giorno è così
'They play with us'. La biondina non si è mossa, è sempre ferma alla
sua porta numero Due e fissa le sue luci spente. Sei persone passano
dalla porta numero Tre, poi un annuncio e di nuovo tutto si ferma,
inizia a venir voglia di prendere a manate quelli di là. La biondina
si stacca dalla sua porta e si allontana pochi metri, e beffarda la
luce della porta numero Due si accende, tutti corrono, pure lei, ma
ormai ha perso la sua posizione. Io e Riccardo sgomitiamo e ci
troviamo molto avanti stavolta, circa quindici persone prima di noi,
la biondina è appena davanti a me, vedo che ha il passaporto
irlandese, ha gli occhi rossi e lacrime le segnano le guance, le
sorrido, ma guarda come nel vuoto, è terrorizzata, e pure io non sono
tanto tranquillo.
Beep, luce verde e il primo passa, e si riaprono pure le porte
esterne, dalla parte di Ramallah con almeno duecento palestinesi che
rientrano correndo e ci premono da dietro. Voci di donna acute gridano
ancora negli altoparlanti, ma si perdono sotto le grida dei
palestinesi. Scorriamo, uno per volta. Io lotto nella massa
disordinata davanti a me per arrivare alla porta prima possibile,
facendomi spazio a forza di braccia perché anche una posizione può
essere decisiva, potrebbe non essere solo un minuto in più come accade
in qualunque frontiera normale, ma potrebbe pure essere un’ora o un
giorno.
Noto con sorpresa che i controlli sono molto blandi, bagaglio ai raggi
x, metal detector e verifica del documento oltre il vetro, come in un
normale aeroporto italiano. La biondina irlandese finalmente passa.
Subito dopo di lei un giovane palestinese, e io mi infilo nella porta
girevole, solo in due davanti a me. Il palestinese fa l'arrogante, gli
fanno mettere l'enorme valigia per tre volte nei raggi x, qualcosa non
li convince, ma alla fine lo lasciano andare senza fargliela aprire.
Ancora un paio di beep e tocca a me, spingo la porta girevole e metto
lo zainetto sul nastro. Oltre il cristallo spesso al di là dal metal
detector vedo una ragazza bionda molto carina che vedendo il
passaporto italiano mi sorride e mi dice di appoggiare la pagina con
la foto e quella con i timbri di ingresso in Israele contro il vetro.
Posso passare oltre. Riccardo è dietro di me e subito dopo c’è il
ragazzo spagnolo palestinese. Quasi tre ore per uscire.
Rivedo la biondina irlandese all’esterno seduta su uno scorrimano, ha
ancora gli occhi gonfi, mi avvicino e le chiedo se tutto va bene, ora
sorride e mi dice 'Now yes!'
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Vecchio 16-12-2009, 15.45.04
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Predefinito Re: (RECE) Israele e giordania - Parte 2

krapp75 ha scritto :
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> Ecco la seconda parte della Rece, metà di questa quella di Nablus
> l'avevo già postata. A breve metto on line anche la terza e ultima
> parte
> Ciao
> Andrea
>.........[/color]


L'ho letta un po' di corsa (la seconda parte già la conoscevo),
interessante e piacevole da leggere come al solito, grazie :-)

Me la gusterò con più calma sabato ( giorno di riposo ;-)))))) )

--
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" Viaggiare e' un desiderio che provano in tanti, e tutti se ne
pentono, perche' non si ritorna mai. "

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krapp75 ha scritto :
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> Ecco la seconda parte della Rece, metà di questa quella di Nablus
> l'avevo già postata. A breve metto on line anche la terza e ultima
> parte
> Ciao
> Andrea
>.........[/color]


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krapp75 ha scritto :
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> Ecco la seconda parte della Rece, metà di questa quella di Nablus
> l'avevo già postata. A breve metto on line anche la terza e ultima
> parte
> Ciao
> Andrea
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krapp75 ha scritto :
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> Ecco la seconda parte della Rece, metà di questa quella di Nablus
> l'avevo già postata. A breve metto on line anche la terza e ultima
> parte
> Ciao
> Andrea
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krapp75 ha scritto :
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> Ecco la seconda parte della Rece, metà di questa quella di Nablus
> l'avevo già postata. A breve metto on line anche la terza e ultima
> parte
> Ciao
> Andrea
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krapp75 ha scritto :
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> Ecco la seconda parte della Rece, metà di questa quella di Nablus
> l'avevo già postata. A breve metto on line anche la terza e ultima
> parte
> Ciao
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krapp75 ha scritto :
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> Ecco la seconda parte della Rece, metà di questa quella di Nablus
> l'avevo già postata. A breve metto on line anche la terza e ultima
> parte
> Ciao
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krapp75 ha scritto :
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> Ecco la seconda parte della Rece, metà di questa quella di Nablus
> l'avevo già postata. A breve metto on line anche la terza e ultima
> parte
> Ciao
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krapp75 ha scritto :
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> Ecco la seconda parte della Rece, metà di questa quella di Nablus
> l'avevo già postata. A breve metto on line anche la terza e ultima
> parte
> Ciao
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